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Un funerale povero e fascista per il padrone della Mivar


Carlo Vichi, fondatore della Mivar, storico marchio dei televisori, è morto a 98 anni nella sua Abbiategrasso, in provincia di Milano. "Per i miei funerali voglio una bara di legno povero in mezzo al nuovo stabilimento. Indosserò solo maglietta e pantaloncino. L'ultima frase sarà: A noi!, poi partirà la musica di Faccetta nera. Solo allora la festa avrà inizio. Sono invitati tutti i cittadini di Abbiategrasso. Ad eccezione di autorità e politici". Erano queste le sue volontà, come disse a Il Giornale nella sua ultima intervista, quattro anni fa.

Il ricordo di Walter Jeder

Carlo Vichi era molto più di un imprenditore di successo. Era un genio e un galantuomo. Difficile essere le due cose, e arrivare a sfiorare il secolo di vita, mantenendo quel vigore e quel rigore: la mente lucida e la schiena diritta. Vedo “coccodrilli” imbarazzati e reticenti, ora che se n’è andato avanti, perché Carlo era un tipo“strano”. Uno che non ha mai rinunciato a una briciola delle proprie idee conoscendo le vette del successo senza spocchia e il sapore amaro della sconfitta senza “aiuti di stato”. Vichi, negli ultimi anni si era dichiarato pronto a regalare la fabbrica a chi ci sapesse fare con i nuovi mercati a patto che non licenziasse i sui dipendenti. Aveva passato la vita con i suoi operai, mensa e ufficio proprio in mezzo a loro, fisicamente, non tanto per dire. 
Non c’era famiglia italiana che non avesse in casa il suo economico e perfetto tivù Mivar. Era arrivato a produrne e a venderne 917 mila in un anno. Battuto solo dai numeri implacabili del mercato globale. 
Il Vichi, che doveva il suo successo ad una geniale capacità di semplificare le apparecchiature elettroniche, semplificava anche la dialettica sindacale e politica squadrando con l’accetta i suoi pochi ma chiari concetti di giustizia e di ordine sociale dando “a ognuno il suo”. 
Teneva tutti al loro posto, cronisti compresi, enunciando, con fierezza, quella sua idea del mondo così antimoderna per un cavaliere dell’innovazione. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di parlare con lui di televisione (di tecnica) e di politica (di valori) senza sbavature e voli pindarici.
Carlo Vichi non era un “tipo strano”: era un Grande. Onore a Lui.

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