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7 settembre 1985: muore il generale Piera Gatteschi Fondelli

 Il 7 settembre 1985 muore a Roma l’unica generale italiana. Piera Gatteschi Fondelli, nominata da Mussolini al comando del Servizio ausiliario femminile della Repubblica sociale. Una figura particolare, quella della nobildonna toscana, nata all’inizio del Novecento, rimasta orfana di padre prima ancora di venire al mondo e poi cresciuta a Roma con la madre. Giovanissima si dedica all’attivismo politico: nel 1921 si iscrive al Fascio di combattimento di Roma; il 19 ottobre 1922 prende parte al congresso che si svolge a Napoli e il 28 ottobre, a soli vent’anni, Piera è a capo di un gruppetto di venti donne che formano la “squadra d’onore di scorta al gagliardetto” e con loro partecipa alla Marcia su Roma.

Viene subito notata da Mussolini e dagli altri gerarchi fascisti e le sue indubbie doti organizzative la portano a diventare ispettrice della Federazione dell’Urbe, occupandosi dell’Opera nazionale maternità e infanzia, della Croce Rossa, delle colonie estive. Svolge il suo incarico per più di dieci anni, ma poi sulla politica prevale l’amore: nel 1936 lascia tutto per seguire in Africa il marito, ingegner Mario Gatteschi, che dirige i lavori della strada Assab-Addis Abeba. 

Piera_Gatteschi_e_GrazianiPiera Gatteschi Fondelli rientra in Italia tre anni più tardi e viene nominata Fiduciaria dei Fasci femminili dell’Urbe, che all’epoca contavano 150 mila iscritte. Nel 1940 diventa ispettrice nazionale del Pnf e alla caduta del governo, nel ’43, si rifugia dai suoceri nel Casentino. E’ di nuovo sola perché il marito, nel frattempo, è tornato in Africa come combattente ed è stato preso prigioniero dagli inglesi e rinchiuso in un campo di concentramento in Kenya. In questo periodo di forzata inattività Piera morde il freno, non è da lei nascondersi e stare in disparte. Così non appena viene a sapere che il Duce è stato liberato dai tedeschi e ha fondato la Repubblica sociale italiana nel Nord Italia, la Gatteschi parte per Brescia e si mette a disposizione di Alessandro Pavolini, il segretario del Partito fascista repubblicano. 

E’ proprio a Salò, dove il nuovo governo si è stabilito, che alla fine del 1943 Piera Gatteschi Fondelli manifesta a Mussolini il desiderio delle donne fasciste di avere un ruolo più incisivo nella difesa del Paese. Nasce l’idea di inquadrare le volontarie in un corpo militarizzato, fedele al Duce e alla nuova repubblica. Il progetto è appoggiato in pieno da Pavolini e accettato anche dal generale Graziani, ministro della Difesa della Rsi. La situazione sta precipitando e servono sempre più uomini per la guerra, così la collaborazione femminile diventa necessaria per assisterli e per sostituirli in molti ruoli non di prima linea.

Il 18 aprile 1944 nasce il Servizio ausiliario femminile (Saf), al quale nel corso di poco più di un anno di durata aderiranno oltre 6 mila volontarie. Al comando del corpo viene messa proprio la Gatteschi, che ha il grado di generale di brigata. «Non volevo un esercito di amazzoni» dirà Piera molti anni dopo «ma di ausiliarie, di sorelle dei combattenti». 

Le ausiliarie prestano assistenza infermieristica negli ospedali militari, lavorano negli uffici e alla propaganda, allestiscono posti mobili di ristoro per la truppa. Ma sarebbe riduttivo pensare a un esercito di dattilografe e crocerossine. Alcuni reparti di ausiliarie della Decima Mas sono armati, come nel caso del “Barbarigo”, e un nucleo di donne-soldato combatte accanto ai marò del battaglione “Lupo” per contrastare a Nettuno l’avanzata delle truppe anglo-americane che erano sbarcate ad Anzio. 

I compiti della Ausiliare

Alle ausiliarie vengono anche affidate vere operazioni di sabotaggio e molte di loro, per questo motivo, alla fine della guerra saranno fucilate o condannate a morte. Le “Volpi Argentate” appartenevano a un servizio speciale di guastatori, sabotatori ed assaltatori, di cui facevano parte anche alcune ausiliarie. Durante il corso di addestramento si mostravano filmati, s’istruivano sulle divise del nemico, sul tipo d’armamento, sui carri armati, si allenavano agli interrogatori, a rispondere sulle false identità, si spiegava come reagire alla tortura ed alle altre sevizie e come si potesse tentare un’evasione. Lo stesso Pavolini definisce il Saf «una delle istituzioni più serie ed utili fra tutte quelle che abbiamo.

Piera Gatteschi comanda il corpo con mano ferma e grandi doti organizzative. Nel suo libro “Donne di SalòUlderico Munzi riporta un colloquio avuto con Edda Ciano, che definisce lo spirito che animava le ausiliarie della Repubblica sociale italiana una sorta di «femminismo fascista» e spiega ciò che le volontarie fasciste provavano nell’intimo quando erano impegnate nella difesa della Rsi: ricerca di una maggiore identità, perché «la Patria è donna». «Gli uomini scappavano – ha raccontato una delle ex ausiliarie intervistate da Munzi – la monarchia sabauda con gli stati maggiori tradivano, una nazione veniva pugnalata alle spalle insieme all’alleato in guerra. Arrossimmo di rabbia e vergogna nel vedere gli uomini spogliarsi delle divise e fuggire a casa. Noi eravamo pronte a imbracciare i loro moschetti».

Nel corso della guerra cadono circa 300 ausiliarie e molte altre, dopo il 25 aprile, subiranno la vendetta dei partigiani. L’albo d’oro del Saf si fregia di due medaglie.: una d’oro al valor militare alla memoria di  Franca Barbier, 20 anni, di Saluzzo (Cuneo), uccisa con un colpo alla nuca da un comandante partigiano in Valle d’Aosta il 25 luglio 1944, dopo che il plotone d’esecuzione si era rifiutato di eseguire l’ordine di fuoco; e una d’argento alla memoria di Angelina Milazzo, morta a Garbagnate Milanese il 21 gennaio 1945 durante un attacco aereo nemico a un treno delle Ferrovie Milano Nord, mentre faceva scudo con il proprio corpo ad una giovane donna incinta. 

Alla fine della guerra Piera Gatteschi distrugge gli archivi del corpo per evitare rappresaglie contro le sue “ragazze” e vive in clandestinità per un anno, fino al ritorno del marito dalla prigionia. Mario Gatteschi, però, morirà nel ’47. L’unica donna generale della storia italiana aderisce all’Msi e negli anni Sessanta si dedica all’organizzazione di viaggi per i giovani del partito. Muore nel 1985. Nel suo testamento politico ha lasciato scritto: «Credo di aver fatto fino in fondo il mio dovere nel ricoprire gli alti incarichi che mi furono affidati, servendo l’Italia con onestà e fervore». 

Fonte: Giorgio Ballario/Barbadillo

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