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Addio a Antonio Pennacchi, il “fasciocomunista” è morto a 71 anni



E' morto Antonio Pennacchi. L'ex operaio diventato scrittore di successo, vincitore del Premio Strega, che con i suoi romanzi ha fatto conoscere al grande pubblico l'impresa della bonifica dell'agro pontino, la vita, la sofferenza e le gioie dei coloni, si è spento oggi a Latina, all'età di 71 anni. Dalle prime indiscrezioni a stroncarlo sarebbe stato un infarto.
Nato a Latina nel 1950, operaio dell'Alcatel Cavi, Pennacchi si è dedicato alla politica prima nelle file del Movimento Sociale Italiano e poi in quelle del Partito Marxista Leninista Italiano. Tra gli anni 70 e 80 ha aderito al Psi, alla Cgil e poi alla Uil.
Nel 1983, durante un periodo di cassa integrazione, si è laureato in Lettere e filosofia per abbracciare poi la carriera di scrittore. Il debutto nel 1995 con Mammut, seguito da Palude. Storia d'amore, di spettri e di trapianti. Nel 2003 ha pubblicato Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi, romanzo autobiografico da cui nel 2007 è stato tratto il film Mio fratello è figlio unico, diretto da Daniele Luchetti. Nel 2010 è uscito Canale Mussolini, finalista al Premio Campiello e vincitore dello Strega. Ha firmato poi Storia di Karel (2013), Camerata Neandertal. Libri, fantasmi e funerali vari (2014), Canale Mussolini. Parte seconda (2015), Il delitto di Agora (2018), rivisitazione del thriller Una nuvola rossa pubblicato nel 1998, e La strada del mare (2020). L'opera di Pennacchi può essere vista come una gigantesca autobiografia. Figlio di coloni, come quelli da lui descritti in Canale Mussolini, giunti in provincia di Latina proprio per la bonifica voluta dal fascismo, lo scrittore è stato il vero fasci-comunista, conquistandosi la stima di esponenti sia della destra che della sinistra. Nel dopoguerra l'agro pontino ha sentito il peso profondo di quel legame con Benito Mussolini.

Per il premio Strega quelle erano invece le radici, la storia di quella terra, diversa dalle sceneggiate in camicia nera, ma frutto del coraggio e della forza di tante famiglie, come la sua, che avevano trasformato quello che un tempo era un luogo di morte. Una storia che nella sua seconda vita, quando ha lasciato la tuta blu e ha impugnato la penna, fino ad oggi Pennacchi ha cercato di far conoscere.

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