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5 marzo 1982: il ferimento e la cattura di Francesca Mambro

Ma un altro gruppo sta già organizzando un nuovo assalto. L’istituto preso di mira è la Banca Nazionale del Lavoro di piazza Irnerio, un grande slargo dal quale si snodano importanti strade: in discesa c’è via Baldo degli Ubaldi, che porta verso piazzale Clodio e il centro, dalla parte opposta la circonvallazione Cornelia, che porta a Boccea, e ancora la via Aurelia, che guarda al raccordo anulare, ma che porta anche al mare, direzione nord. Per di più, a poca distanza dalla banca c’è un mercato scoperto che certo rende ancora più pericolosa l’operazione, senza contare il continuo via vai di gazzelle dei carabinieri e pantere della polizia. Ma a qualcuno del gruppo questa banca fa gola, così parte la chiamata a raccolta dei latitanti nascosti nelle diverse zone di Roma e d’Italia.
A organizzare la rapina è Nistri. È proprio lui a «convocare» Zani che sta «svernando» a Torino. 
Zani:
In quel periodo sto già preparando l’uccisione a Pisa di Mauro Mennucci, quello che aveva venduto e fatto arrestare Mario Tuti. Un giorno Nistri, che era un po’ il punto di riferimento di tutto il gruppone dei latitanti Nar, mi disse che c’era da fare una rapina un po’ difficile, per via della zona, e se mi andava di scendere a Roma potevo partecipare. Non feci obiezioni.

Il giorno prima della data stabilita Nistri chiede ai reduci della rapina in via Ozanam di «prestargli» un mitra M3. Sordi e Cavallini glielo portano a piazzale Flaminio. Anche Sordi dice a Nistri che si tratta di una zona ad alto rischio, ma ormai è tutto pronto e poi, in questi casi, il rischio c’è sempre...
L’azione comincia alle 10.30 del 5 marzo 1982. In una Volkswagen Jetta arrivano la Mambro e Vale, armati di pistola. Il loro compito è controllare che tutto vada per il verso giusto. Si aggiunge anche Stefano Procopio, che imbraccia un fucile d’assalto Sig Manurhin. La Mambro e Procopio restano inizialmente in macchina, mentre Vale scende e si avvicina all’ingresso della banca, raggiunto subito dalla Mambro. Il commando che deve entrare arriva poco dopo. Sono in quattro: Nistri, Zani e i fratelli Livio e Ciro Lai. Nistri e Ciro disarmano il vigilante di guardia, poi entrano tutti insieme.
Mentre Zani e Ciro svaligiano la banca, Livio (armato anche lui con un Sig Manurhin) e Nistri controllano la situazione. Un minuto dopo entra un carabiniere in borghese; quando capisce che è in corso una rapina prova a reagire, ma viene bloccato. Anche a lui viene presa la pistola. Intanto Nistri conta ad alta voce i secondi e detta i tempi dell’azione.
Ma finirà male. Un passante si è accorto di quello che sta accadendo e blocca una volante in transito. Immediato l’allarme generale della centrale operativa. Vengono chiamate anche alcune guardie giurate di una banca vicina e arriva come un fulmine un poliziotto in borghese su un’auto civetta che passava da quelle parti: si chiama Paolo Espa ed è uno dalla pistola facile.
Espa scende dall’auto e si apposta dietro i bidoni della spazzatura, di fronte all’entrata della banca. Ha visto i terroristi con le armi in pugno al di là del vetro e li aspetta al varco. Impugna a due mani la calibro 9S e prende la mira. Ma anche i Nar che aspettavano all’esterno, guidati da Vale, stanno seguendo la scena. Così si appostano dietro le auto, dall’altra parte della strada, e prendono a loro volta la mira. «Tempo scaduto. Via, via, via!» urla Nistri dentro la banca.
I quattro escono. Il primo è Livio Lai. Espa urla: «Fermo, polizia!» In quel momento alle spalle del poliziotto gli altri del commando gli sparano addosso, ferendolo a un braccio e a una gamba. A quel punto Espa mira al cuore del terrorista che ha di fronte e spara. Lai è centrato in pieno, ma lo salva il giubbotto antiproiettile. Il colpo lo fa volare due metri dietro. La battaglia è cominciata. Sparano tutti. Spara ancora Espa, sparano gli altri vigilantes, sparano gli agenti della volante 39, che ha dato per prima l’allarme, sparano i loro colleghi della volante 16, che sono arrivati dopo l’allarme lanciato dalla Questura, sparano i Nar, sia i quattro che hanno appena fatto la rapina, sia gli altri che li aspettavano fuori, di copertura.
Tre minuti di fuoco, durante i quali Roma sembra Beirut. L’autista della macchina «pulita» che doveva prelevare il commando entrato in banca arriva in ritardo, così alcuni di loro si rifugiano nella Jetta guidata da Procopio, su cui sale anche la Mambro. Altri, come Vale e Nistri, si ritrovano a correre, a piedi, mentre i proiettili fischiano da tutte le parti. Nella sparatoria, purtroppo, un colpo di rimbalzo sparato dal Sig Manurhin di Livio Lai, colpisce alla testa il diciassettenne Alessandro Caravillani, uccidendolo sul colpo; ma in quel momento nessuno lo nota. La battaglia continua. La Mambro, accortasi che Vale è a piedi, chiede all’autista della Jetta di fermarsi per aspettarlo. Lui frena, scende dall’auto e spara contro la polizia per coprire Vale e Nistri.
Una raffica di M12 colpisce la macchina e anche la Mambro, al basso ventre, causandole un principio di emorragia. Alla fine il commando dei Nar, con la Mambro ferita, riesce a scappare: chi a piedi, chi in auto, chi in autobus.
Un ragazzo morto, cinque feriti, tra passanti e agenti di polizia e la Mambro in fin di vita. È il pesantissimo bilancio di una mattinata di guerra.
Sentiamo Zani:
L’azione parte subito male. Avrei dovuto entrare per primo e dirigermi alla cassa, ma il «blocco» della guardia giurata viene fatto troppo presto, quando io sono ancora lontano, e viene anche notato da alcuni passanti che danno subito l’allarme. A quel punto, per recuperare il tempo, entro in banca di corsa, poi, mentre sto ancora afferrando i soldi, comincia la battaglia. Mi trovo una guardia giurata di fronte, sul marciapiede, dall’altra parte del vetro, che mi spara contro. Per fortuna il vetro resiste. Allora mi butto all’uscita, dove c’è Lai dolorante per il colpo al petto, frenato dal giubbotto. Sono allo scoperto, come gli altri del resto. A spararci addosso sono almeno in tre.
Metto a fuoco la guardia che mi ha sparato prima, appostata dietro un’auto a pochi metri, e faccio fuoco con la mia pistola a tamburo. Lui si butta per terra, scomparendo alla mia vista. La macchina che doveva raccoglierci non si vede. Più tardi saprò che era rimasta imbottigliata nel traffico.
Il conto è rapido: siamo in troppi per poter salire tutti su quella di Vale, allora decido di affidarmi all’improvvisazione. Mi lancio in mezzo alla strada, verso il mercato, dicendo a voce alta: «Ma questi sono terroristi!» in modo che mi sentano tutti. La sparatoria è momentaneamente cessata. E la gente, invece di scappare – incredibile –, sta guardando la scena!
Nessuno prova a bloccarmi. La folla del mercato si apre e io vengo inghiottito, sempre con la pistola in mano. Rimetto l’arma nel borsello e mi allontano, senza correre. Torno in centro in autobus.
Francesca Mambro:
Io non avrei mai fatto una rapina così. Infatti non volevo farla. L’idea fu di qualcuno che sosteneva che quella banca fosse piena di soldi. Giorgio mi chiese: «Vogliamo andare a fare una copertura per questa rapina?» Io gli risposi: «Ma perché dobbiamo andare vicino a un mercato a fare una rapina?» Comunque, alla fine ci andammo. Senza sopralluoghi. Un’azione fatta praticamente al buio.
Arriviamo là davanti puntali. Ma un’altra persona, con la seconda auto per recuperare il commando a cose fatte, arriverà tardi, bloccata nel traffico. L’azione parte. Loro disarmano il vigilante ed entrano, io mi avvicino alla banca con Giorgio. Improvvisamente sento dei colpi, mi volto e vedo delle persone, appostate tra i cassonetti dell’immondizia e le auto, dall’altra parte della strada, che ci sparano addosso.
A quel punto la Mambro reagisce:
Faccio fuoco anche io, e mi sposto dietro una macchina parcheggiata. Con me c’è Giorgio. Poco dopo escono dalla banca gli altri, sparando. In quel momento scoppia una sparatoria pazzesca. Folle. Mai vista una cosa del genere. Mai vissuta una situazione così. C’è polizia da tutte le parti, in divisa e in borghese. Non so da dove siano usciti. Ma sono tanti. E ci sparano tutti contro: un vero e proprio assedio.
Ora, non so se sia stata una serie di circostanze casuali, se sono passati là davanti e si sono accorti della rapina o se avessero un «sentore»... Fatto sta che in cinque minuti erano tutti là.
Poi il suo ferimento e la fuga:
Insieme ad altre tre persone salgo sulla Jetta, che avevamo lasciato al semaforo, vicino al mercato. Partiamo, ma dopo pochi metri mi volto e vedo Giorgio e Nistri a piedi, che corrono, inseguiti dai poliziotti che gli sparano contro con i mitra. Allora dico alla persona che sta guidando: «Fermati e aspettiamo Giorgio». L’auto si ferma.
Ma dopo qualche secondo sento una botta alla pancia che mi arriva da dietro. Era una raffica di M12. Un colpo mi ha attraversato la schiena ed è uscito dalla pancia: comincio a perdere tanto sangue. Mi portano in un garage e vanno subito a chiamare un medico che mi visita. Lui dice che ho già il ventre duro, che ho l’infezione. Mi fa due siringhe di antibiotico e antidolorifico e dice alle persone che stanno con me: «O la portate in ospedale o muore. Ha già la peritonite». Sono in uno stato di dormiveglia. Continuo a svenire. Vomito e perdo sangue.
In quel momento sono convinta che sia finita. Giorgio mi chiede: «Cosa vuoi fare?» Io gli rispondo: «Portatemi in ospedale». E lui: «Guarda che la televisione ha detto che nella sparatoria è morto un ragazzo. È stata la polizia, ma stanno già dicendo che siamo stati noi. Se vai in ospedale daranno la colpa a te». «E io dirò che non siamo stati noi», ho la forza di replicare, «ma portami in ospedale. Portami da Valerio.»
In quel momento, però, capisco che sta avvenendo qualcosa di strano. Uno dei presenti dice: «Se va in ospedale, le faranno le iniezioni di Pentothal e le faranno dire tutto. E, in ogni caso, potrebbe parlare sotto anestesia. Non possiamo permettercelo. Finiamola. Spariamole un colpo in testa e poi diremo che è stata la polizia nella sparatoria di stamattina». Per fortuna Giorgio risponde che non se ne parla nemmeno. E credo che anche i fratelli Lai si siano opposti...
Così, nel pomeriggio, Vale accompagna Francesca su una Ritmo bianca davanti all’ingresso secondario del pronto soccorso del Santo Spirito. Qualcun altro dei Nar telefona all’Ansa per avvertire che la ragazza ferita davanti all’ospedale è proprio la Mambro:
Qui Nar. Vicino a un cancello dell’ingresso secondario dell’ospedale Santo Spirito abbiamo lasciato ferita Francesca Mambro. Si trova all’interno di una Ritmo targata Roma Z. Vi preghiamo di avvertire immediatamente il suo avvocato, Cerquetti. Naturalmente, è chiaro che se le viene torto anche un solo capello faremo fuori un medico al giorno.
Sono le 18.35. Vale le resta accanto fino a quando non vede arrivare medici e infermieri. Poi scende dall’auto e sale su una Peugeot bianca, dove lo aspettano Nistri e uno dei Lai.
Mambro:
Mi ha detto: «Non me ne vado. Aspetto che vengano gli infermieri, non voglio che arrivi prima la polizia...» Quando sono arrivati gli infermieri e mi hanno tirata fuori dall’auto, io ero tutta fasciata.
Appena mi hanno messa sulla barella, lo spostamento mi ha provocato una fitta fortissima alla ferita, che mi ha svegliata. Perché ero di nuovo svenuta poco prima. Ricordo che, per il dolore, ho riaperto gli occhi e ho cominciato a urlare frasi del tipo: «Chi siete? Che volete? Lasciatemi stare...» Poi non ricordo molto. Mi hanno operata subito. Quando sono uscita dalla sala operatoria ho visto intorno a me molte ombre in divisa. Erano agenti di polizia. Poi riconosco mio fratello, Mariano. In realtà, come ho saputo in seguito, devo la vita al professor Meneghini. Stava andando via quando sono arrivata al pronto soccorso. Il medico di guardia gli ha riferito che la mia situazione era gravissima e così lui si è tolto il cappotto, si è rimesso il camice e ha detto: «Ok, la opero io». Quando mi hanno riportata in sala di rianimazione, dopo avermi operato, ho avvertito una sensazione stranissima, un dolore fortissimo alla mano destra. Non ho avuto la forza di aprire gli occhi, ero ancora sotto l’effetto dell’anestesia, ma ho sentito che delle persone dicevano: «Questa è la mano della puttana, quella che spara...» Poi ho realizzato: due poliziotti mi avevano appena fatto il guanto di paraffina per vedere se avevo sparato anche io a piazza Irnerio...
Quella mattina lei non aveva il giubbotto antiproiettile, a differenza di alcuni suoi compagni:
Intanto ce l’avevano quelli che dovevano entrare in banca. E poi, sinceramente, io pensavo di essere immortale...
Ma come fu possibile decidere di assaltare quella banca?
Non so a chi è venuta l’idea, se a Nistri o a qualcun altro. Nistri sarà pure stato uno bravo a fare queste cose, ma quella rapina fu sbagliatissima e organizzata male. Nelle rapine fatte bene non si deve sparare neanche un colpo. Le persone all’interno della banca non se ne devono nemmeno accorgere che sei entrato. Io ho fatto rapine ovunque in questo Paese e non ho mai sparato un colpo. Mai. Per principio. Se fai una rapina in banca non spari a nessuno. Ho fatto anche assalti a distretti militari, ma mai è successo che ci fossero sparatorie. Puoi sparare in aria se qualcuno fa il pazzo, ma finisce lì. Se si sviluppa una battaglia come quella di piazza Irnerio, vuol dire che il posto era sbagliato. Non ci sono dubbi.
Zani:
Con Francesca credo di aver fatto solo questa azione. Mi è simpatica, qualche volta la incontro insieme a Giorgio Vale. Tra me e loro c’è di mezzo soprattutto la storia di Mangiameli, al quale ero personalmente legato, ma non voglio approfondire questa vicenda, perché significherebbe, inevitabilmente, innescare la faida. Faccio dunque il vago sui miei rapporti con Mangiameli e accetto la versione che sia morto per questioni di tipo personale. Che, devo dire, a distanza di tanti anni, è alla fine l’ipotesi più plausibile.
La morte del giovane studente Caravillani, capitato purtroppo nel posto sbagliato al momento sbagliato, getta nello sgomento media e opinione pubblica. Nelle ore successive la polizia diffonde la notizia secondo cui uno dei Nar si sarebbe avvicinato al giovane studente, che si trovava a terra ferito a una gamba e, scambiandolo per un agente in borghese, lo avrebbe finito sparandogli un colpo di grazia in testa. Tanto che l’Ansa, a quattro ore dalla sparatoria, già scriverà:
Alcuni testimoni hanno riferito alla polizia che uno dei banditi, dopo che il ragazzo era stato colpito a morte ed era caduto, avrebbe continuato a sparargli contro.
Ma la polizia insisterà con questa versione anche nei giorni successivi:
La devastazione provocata dal colpo alla testa del diciassettenne Alessandro Caravillani [...] conferma l’ipotesi che si sia trattato di un grosso calibro e, inoltre, l’ipotesi che lo sparo sia avvenuto a distanza relativamente breve.
E ancora:
Per quanto riguarda la telefonata fatta dai Nar al Partito Radicale, in cui i terroristi affermano di non essere stati loro ad uccidere Alessandro Caravillani, la polizia si è limitata a dire di avere testimonianze dirette per affermare con certezza che uno dei banditi ha dato il colpo di grazia allo studente, quando questi era già caduto a terra.5
Le cose sono andate diversamente, perché, come appurerà la perizia e come accerterà la sentenza del maxiprocesso «Nar 2», il povero Caravillani è stato ucciso da un proiettile proveniente da un fucile a ripetizione Remington 222 (sparato da Livio Lai), che lo ha raggiunto di rimbalzo dopo essere stato deviato, probabilmente, dal muro del palazzo davanti al quale il giovane si era nascosto per evitare di essere colpito. Il che, ovviamente, non può attenuare il dolore e lo sconforto di famigliari e amici. Ma sgombra il campo dall’accusa ai Nar di aver sparato volutamente al giovane o, addirittura, di avergli tirato un colpo di grazia a bruciapelo.
Fonte: Nicola Rao, Il piombo e la celtica

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