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Robert Brasillach, poeta dell'amicizia. Un ricordo di Pino Tosca

Riceviamo dal Centro Tradizione e Comunità, in occasione del settantacinquesimo anniversario della morte di Robert Brasillach, e volentieri pubblichiamo un articolo di Pino Tosca, uomo della tradizione, andato oltre il 4 settembre del 2001.
Pino Tosca ha lasciato un'eredità spirituale prima ancora che politica. La musica, il canto, le espressioni artistiche teatrali e le poesie. in Pino Tosca tutto trovava completa sintesi, come quando strumenti diversi fondono i loro suoni in un “tutto” armonioso e naturale. La sua ultima e più bella creatura è stata a Modugno, in Terra di Bari: l’esperienza comunitaria del “Centro Tradizione e Comunità”, riflesso esistenziale di esperienze metapolitiche come la Guardia di Ferro Romena o il Carlismo legittimista Spagnolo. 
E’ stato Pino Tosca che ha insegnato ad un intero ambiente, quello della “destra radicale” o post-fascista le esperienze dei cosiddetti vinti della Storia: i briganti del Regno delle Due Sicilie, i Cristeros Messicani, i Vandeani francesi. Tutti accomunati da una medesima visione della vita e da un’identica ed autentica Fede in Cristo


Robert Brasillach, poeta dell'amicizia
di Pino Tosca




il 6 febbraio '45, Robert Brasillach cadeva fucilato dai gollisti al Forte di Montrouges. Dopo la raffica del plotone di esecuzione, l'avvocato Isorni si inchinò sul suo cadavere e, su un foglio di carta, raccolse la grossa goccia di sangue che colava dalla sua fronte. In quel giorno, con Brasillach, l'Europa stessa moriva.
La morte tragica del poeta, fece sì che intorno alla sua scomparsa si formasse pian piano un circolo caldo di affetto ed ammirazione. Leggendo la pagine de "I sette colori" o le liriche di Fresnes, giovani di ogni contrada d'Europa, venuti dopo la bufera della guerra, che non lo avevano conosciuto in vita, avevano cominciato ad avvicinarsi ai suoi scritti.
L' "amico Brasillach", il poeta assassinato, che con la sua vita e la sua morte aveva rievocato la tragedia di Andrea Chenier, suo e nostro "fratello dal collo mozzato", trascinato anch'egli al patibolo dai carnefici giacobini, ci aveva insegnato il valore dell'Amicizia.
Brasillach scriveva nel 1941: "il cameratismo è il frutto più bello del dolore degli uomini. Nasce nel combattimento, nella guerra, nasce nella prigione. Non nasce, per essere precisi, dalle idee. O piuttosto le idee non prendono peso e valore che quando sono chiaramente incarnate nei corpi umani, quando sono vissute da dei camerati. Noi avremo conosciuto questo privilegio".
Da quando Knut Hamsum, Premio Nobel norvegese, non ebbe alcun timore a proclamare davanti ai suoi giudici: "fra un secolo i vostri nomi saranno dimenticati. Ma quello di Brasillach non lo sarà mai ", la più pura gioventù del Vecchio Continente gli si è stretta intorno, come ad un fratello maggiore. In Italia, Luciana Marrani, conseguiva a Bologna la laurea con una tesi sull'opera di Brasillach. In Germania, il professor Karl Epting faceva studiare ai suoi allievi i "Poemi di Fresnes". Dalla Spagna, J.L. Gomez Tello, indirizzava alla memoria del poeta la sua commovente "lettera postuma".
Henri Massis così ha scritto di lui: "E' stato la giovinezza di tutta una parte della sua generazione. E con la sua apparizione sfolgorante, un poco misteriosa, questa gioventù ha preso coscienza si sè stessa, dei suoi primi fervori, delle sue intramontabili amicizie". Per quella gioventù ardita ed un po' beffarda, che fu anche quella di Szalasy e Pallotta, di Codreanu e Josè Antonio, Brasillach cantò gli entusiasmi, gli ardori, le speranze, le passioni, i dolori e le nostalgie di quelli che come lui non si erano arresi. Per quei giovani, Brasillach descrisse ne "I sette colori" l'atmosfera delle adunate: "...Garriscono al vento le bandiere. Non un canto, non un rullo di tamburo. Regna il silenzio più straordinario allorché appaiono, ai bordi dello stadio, dinnanzi a ciascuno degli spazi che separano i gruppi bruni, i primi ranghi dei portabandiera. L'unica luce è quella della cattedrale, irreale ed azzurra...".
Per quei giovani, con il suo stile avvincente, descrisse in "Notre Avant-Guerre" la candida genuinità che credeva di aver trovato nell'Italia di Mussolini, nel sorriso dei Balilla in camicia nera in cui "degli avanguardisti di quindici anni, dei fascisti di venticinque guidano questi gruppi ridenti, ed insegnano loro l'inno di un Paese che ha scelto come motto di marcia la parola Giovinezza".
Poi la Spagna, densa di passioni, la Spagna del Cid e degli hidalgos, dei Requetes e della Falange. E Brasillach ci raccontò la sua ultima avventura, ricamando le sue speranze coi colori rosso-oro di Castiglia y Lèon, descrivendoci il sole delle città iberiche, da Segovia "romana e quasi sconosciuta, dolce e viva, per essere indimenticabile per quanti ne hanno respirata l'aria fresca" a Zocodover: "Zodocover dai cento balconi, gialla e verde, tutta un rumore di gioia..." Tutto ciò ha descritto con l'amore passionale e metafisico della "notte di Toledo" e con la figura eroica di José Antonio.
Brasillach fu poeta e romanziere di una realtà destinata a morire fucilata con lui. La sua "poesia del ventesimo secolo" così volle raccontarcela: "I fanciulli che saranno poi giovani di vent'anni, apprenderanno con oscura meraviglia questa esaltazione di milioni di uomini, i campi della gioventù, la gloria del passato, le sfilate, le cattedrali di luce, gli eroi pronti alla lotta, l'amicizia tra le gioventù delle nazioni ridestate, Josè Antonio, il Fascismo immemso e rosso...".
Quel "mondo vecchio" che lui aveva creduto sepolto per sempre, è sempre quì, onnipresente, è il Potere, con il suo grigione, la sua ipocrisia, la sua viltà.
Brasillach ha voluto lasciare a tutti i suoi "amici", ai "ragazzi della classe '40", ai "giovani tristi" di questo dopoguerra, il suo testamento spirituale. Quella "Lettera ad un soldato della classe '40", che egli scrisse dal fondo della cella di Fresnes è stato il dono più bello del poetra ammazzato. A cinquantadue anni di distanza da quel 6 febbraio, non possiamo non commuoverci nel leggere che egli, il poeta dell'amicizia, mentre stava per essere ucciso, affidava a noi la custodia delle uniche virtù in cui aveva sempre creduto: la fierezza e la speranza. Ed i "Poemi di Fresnes" sono l'ultima parte di questo messaggio. Questo è il Brasillach che più ci attira: quello che, con sette chili di catene strette alla caviglie, continua virilmente a sorridere, ad amare, a combattere.
Georges Albertini narra di quando era anch'egli detenuto a Fresnes, nello stesso braccio di Brasillach. Una sera un detenuto politico di nome Touraine, si aggrappò alle sbarre della cella, e con una voce possente cominciò a recitare i versi del "Testamento di un condannato". I prigionieri erano tutti alle sbarre delle finestre, l'orecchio teso e le lacrime agli occhi. Robert Brasillach, incatenato nella sua cella, sentiva che il messaggio dei suoi versi veniva raccolto. Al termine, nessuno applaudì. Poi, scoppiarono grida di "Buona sera, Robert!", "Grazie!", ed anche "Coraggio!". "Fuori la stoltezza già si bagna di rosso sangue/ Ed il suo nemico già si crede immortale/ Ma egli spera solo nel lungo avvenire del suo potere/ E le nostre sbarre, O Signore, non riescono ancora/ A nasconderci il cielo".
Lo ammazzarono perchè era giovane, entusiasta, fiducioso e sincero; perchè credeva al valore dell'amicizia, della lealtà, della fedeltà, dell'onore. Valori inconcepibili nel mondo del dio Denaro e della democrazia borghese.
François Brigneau ha confessato che incominciò a disprezzarsi il giorno in cui si era accorto che non avrebbe mai avuto il coraggio di uccidere coloro che avevano ucciso Brasillach.
Ma Brasillach, per primo, non li avrebbe mai uccisi

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