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Un elogio dell'impolitica. Giacinto Reale si scopre evoliano

Viene a trovarmi un vecchio amico (poco più giovane di me) e mi confessa di essere in forte crisi esistenzial-politica.

Missino come me negli anni della gioventù, e anche un po’ oltre, quando Fini & C lo sfrattarono dalla “casa del padre”, ha un pò vagato tra varie formazioni “di destra”, da Rauti a Storace a Romagnoli, perché erede di un vecchio schema, secondo il quale “chi non vota è perdente cmq”.
Ne ha ricavato delusioni in serie, finchè alle politiche di due anni, gli è sembrato di trovare la sua nuova casa: Casa Pound.

Si è impegnato nella campagna elettorale, ha inghiottito qualche boccone amaro come la candidatura della showgirl che avrebbe dovuto portare un milione di voti di “discotecari”, la presenza di un professore di ginnastica con l’hobby di lauree e laurette presentato come un novello Gentile, le scivolate del leader sul tema di “fascismo buono e fascismo cattivo”, il bluff della “presenza a macchia di leopardo”, per una ventina di consiglieri comunali (quasi in tutti in piccoli centri) su 120.000, etc.
Deluso dal risultato elettorale e dal successivo “squagliamento” della formazione, si è rivolto allora alla Lega, che in quel momento aveva, ahinoi, il "fascino del vincente”.

Lui che è infatuato di Mario Carli e Marinetti più di me, ha dimenticato per un attimo le loro invettive contro l’ordine e i suoi tutori in divisa, contro le carceri, e ha cominciato a vantare Salvini “il politico che non sbaglia una mossa”, le sue felpe poliziesche, le sue minacce di far “marcire in cella” questo o quello, e perfino i selfie con la Nutella.
In quel periodo, manco a dirlo, i suoi peggiori nemici erano il “nano di Arcore” e la “ragazza della Garbatella”.
Dopo la cappellata megagalattica di agosto del suo Capitano, che ha riportato al governo il PD e rimesso in pista i due suddetti personaggi, ritrovati alleati della Lega, si è fatto più cauto, e ha cominciato a dedicarsi alla politica estera.

Siccome, come suol dirsi, “ex oriente lux”, ha trovato un nuovo “maestro” in tal Dugin, che non esitava a definire “superiore ad Evola”.

Lo ha seguito in due-tre tappe del tour promozionale in Italia che altri duginiani come lui avevano organizzato al “Maestro”, ha comprato e letto i suoi libri, è tornato all’entusiasmo dei vecchi tempi.
Quando due giorni fa ha visto il post di Dugin che esaltava Trump, e che, per singolare coincidenza, si è rivelato quasi un via libera per l’assassinio di Soleimani, è andato di nuovo in crisi...grave, stavolta.

Il discorso che gli ho fatto è stato più o meno questo: “Benedetto e caro amico, nessuno ci obbliga a “partecipare” nella forma della militanza partitica ed elettorale come ritieni di fare tu, considerata, al momento, l’oggettiva irrilevanza di tale partecipazione, nonostante tutta la buona volontà.

Egualmente, nessuno ci obbliga ad intervenire e schierarci su tutto, dalle miserie della politica interna, ai falsi “grandi problemi” di quella internazionale.
Tempo verrà.
Questo è piuttosto il tempo di “studiare e prepararsi” (e sorridevo mentre lo dicevo, consapevole che era un invito da rivolgere più ai giovani virgulti che ai rami secchi come noi). Non abbandonare il campo, ma “cavalcare la tigre” senza inani tentativi di condurla ora dove vogliamo noi. Aspettare il momento e l’occasione, senza correre dietro al primo straccio che sventola, o al primo che fa la voce grossa, senza sposare né la regola del “meno peggio” né quella de “il nemico del mio nemico.....” che sono di saggezza spicciola, ma pericolosissime quando si parla di cose serie.
Tenersi insomma, sulle “linee di vetta”, senza scendere a compromessi, che sono per un’altra razza di uomini”.
E se per una volta ho fatto l’evoliano...pazienza.

Giacinto Reale

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