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Manlio Milani: oggi potrei parlare con chi ha messo la bomba a piazza della Loggia

Una lunga intervista di Manlio Milani, leader dei familiari delle vittime della strage di Brescia, con Alessandro Massini Innocenti, pubblicata da Brescia oggi

A tre mesi dalla sentenza d'appello bis della Corte d'Assise di Milano sulla strage di piazza Loggia, che ha condannato Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte alla pena dell'ergastolo, Manlio Milani continua a vestire i panni del "rabdomante" della verità. Lui, che nell'attentato perse la moglie Livia Bottardi, ha diviso la sua vita fra aule dei tribunali, lettura degli atti processuali e iniziative. Il suo percorso di verità è un contributo fondamentale alla produzione di un volume che sarà presentato domani sera alle 19 in via San Vittore a Milano, nella cornice del Museo della Scienza e della Tecnica e i cui diritti d'autore verranno versati per le formelle del "percorso della Memoria". "Il libro dell'incontro", questo il nome dell'opera, edito da Saggiatore, narra gli incontri epistolari e i "faccia a faccia" fra le vittime del terrorismo e alcuni autori di delitti commessi durante gli anni di piombo. 

Milani, come si sente ora a tre mesi dalla sentenza d'Appello, a mente fredda?
In questi giorni erano attese le motivazioni della condanna, ma non se ne sa ancora nulla. Attendo con ansia di leggerle. Poi partirà l'iter del ricorso in Cassazione e quindi dovremo ancora aspettare la decisione definitiva. Dopo 90 giorni possiamo apprezzare ancora di più il grande valore di questa sentenza, perché per la prima volta ci dice che ci sono delle precise responsabilità. Sono emersi elementi oggettivi che hanno attribuito a determinati soggetti della destra di allora, precise responsabilità. Nessuno può più mettere in dubbio questa cosa. Emerge anche con chiarezza il rapporto fra eversione di destra e uomini dei servizi segreti. E il collegamento inequivocabile fra i protagonisti delle stragi di piazza Fontana e di piazza Loggia, attentati che facevano parte di un unico disegno eversivo nel quinquennio '69-'74. Provo però rammarico se confronto l'ultima inchiesta, che ha portato a questi risultati, con la prima. Un'indagine che aveva fissato il capo d'imputazione per "criminalità comune", nemmeno per strage. Il tempo ha conferito un senso più grande a questa sentenza, e non condivido le critiche che sono arrivate alla magistratura. Ha operato in un contesto pieno di difficoltà, scontrandosi con i segreti di Stato e un muro di omertà.

Una situazione paradossale, una sorta di scontro titanico fra organi costituzionali. Che ne pensa?
Non ho il sentore che, come dice la destra, a organizzare le stragi siano stati i servizi segreti. Certamente le hanno coperte. E qua si apre il grande enigma. E' evidente che bisognava salvare il progetto eversivo, che mirava a impedire il cambiamento. Quel che è certo è che con il tempo sia destra, sia servizi segreti hanno trovato nel silenzio un'imposizione della politica. Non potevano parlare. Il silenzio è il canovaccio di queste stragi. Ora possiamo affidarci alla declassificazione dei segreti di Stato, anche se noto ancora una certa resistenza dei ministeri dell'Interno e degli Esteri. Una democrazia deve essere trasparente.

Silenzio che Maggi ha adottato come strategia difensiva a processo, come valuta questo suo atteggiamento?
Mi fa pensare al parallelismo fra terrorismo di sinistra e di destra. Il primo ha saputo con il tempo svelarsi. Fondamentalmente ne conosciamo quasi tutti gli aspetti. E ha portato al tema della dissociazione. Nell'ambito del terrorismo di destra tutto questo non è avvenuto, quasi come se il tradimento del gruppo fosse più importante della vita stessa. Maggi ha parlato solo all'indomani della prima sentenza d'Appello che lo assolveva, esprimendo soddisfazione, e disappunto dopo la decisione della Cassazione di riaprire il processo. Poi non ha mai parlato. Gli ho mandato un appello dicendo che noi siamo pronti ad ascoltare le loro ragioni.

Se lei si trovasse davanti Maggi in un ipotetico incontro come quelli citati dal libro, cosa gli direbbe?
Ho capito con il tempo che la strage, per quanto mi abbia colpito personalmente, non è una questione individuale. Ha colpito una città intera e deve essere portata avanti nella sua complessità. Ai tempi mi chiesi come ragazzi così giovani potessero aver ordito piani di tale portata. Poi ho capito che l'autore in questi delitti è solo l'ultimo anello di una catena. Probabilmente guardando Maggi gli chiederei perché ha deciso di veicolare le sue idee nella violenza, visto che lo si poteva fare in altri modi. Oggi so che potrei anche guardare negli occhi l'anonimo che ai tempi mise la bomba nel cestino, e parlargli. Il voler capire ha mosso tutta la mia vita e mi ha fatto uscire dalla parte della "semplice" vittima.

Crede che sia più difficile essere vittime del terrorismo di destra che di sinistra?
In una certa misura è più pesante, perché c'è una sostanziale differenza fra i due terrorismi. Nella strage c'è l'elemento della disumanizzazione. Non esistono le persone, esistono solo i numeri. La strage è anonima. Il terrorismo di sinistra colpiva invece persone di spicco, volti noti ed eliminati perché considerati di valore. Penso a Tobagi, a Calabresi, individui che si frapponevano al processo rivoluzionario e che avevano un ruolo importante. Nello stragismo si ricordano solo i numeri. Gli 8 morti di piazza Loggia, gli 85 di Bologna.

Teme che i giovani possano dimenticare?
Bisogna cercare di far capire loro che cosa produce la violenza. Una cosa che non solo uccide le persone ma che incide sui processi di relazione fra le persone. Credo che la cosa migliore sia instillare nei giovani il concetto della responsabilità, ossia che ogni azione o omissione porta a una conseguenza più o meno rilevante nella comunità in cui viviamo. La responsabilità viene prima della memoria. La responsabilità è prevenzione.

Crede che arriverà alla fine dei suoi giorni con tutte le risposte che le mancano?
La verità non è mai definita nel tempo, assume forme diverse ed è in evoluzione. Ricercarla è un dovere morale, e non credo che calmerò mai questa sete. La forza proviene dalla necessità di comprendere e confrontarsi, anche con chi è portatore di un messaggio opposto al mio. L'errore più comune è vedere nell'altro un nemico. Invece bisogna sempre cercare di capire. Un processo che non è quello di "giustificare", e che ho appreso mio malgrado.

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