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RASSEGNA STAMPA/ Ora Ciocia si butta a negativo: non praticavo le torture


“Altro che abusi, noi salvammo questo Stato”. Parla Nicola Ciocia, il poliziotto che avrebbe usato la tortura dell'acqua e sale con i terroristi. Nega tutto ma poi dice: « la polizia deve poter agire»
di Antonio Corbo 
Nicola Ciocia, era davvero lei il dottor De Tormentis?
«Fu una battuta di Umberto Improta. Lo scherzo di un attimo. Avevamo liberato da poco Dozier. Glielo dissi: "Umbè, non scherzare". Eravamo venti funzionari di polizia arrivati da tutta Italia. Ora, invece, sembra che ci fossi solo io a Verona... Sono quasi tutti morti e non ho testimoni per difendermi. Il mio dramma è questo. E la verità è un'altra. Abbiamo impedito che proseguisse la strage delle Brigate rosse. Ammazzavano e azzoppavano a Torino, Milano, Roma. Moriva tanta gente».
Ammissioni altrui, versioni ormai precise scritte in atti giudiziari e, infine, la «sua» verità. Che ora Ciocia cerca di mettere assieme, per la prima volta. Da mesi, forse sollecitato da quell'anniversario dell'inverno 1982, si è barricato in un silenzio preoccupato. Sono passati trent’anni dalla liberazione a Verona di James Lee Dozier e dagli elogi di Ronald Reagan. La fine di un incubo. Quel nome in codice, ormai riemerso - dottor De Tormentis - ha però sconvolto la vita di un ex poliziotto che filava verso gli 80 anni. All'improvviso, tutto è cambiato e adesso si sente braccato da un passato fosco. Torture per estorcere confessioni. 
«Acqua e sale» somministrati a forza per far «cantare» i terroristi. È vero, dottor Ciocia?
«Tutto nasce dalle rivelazioni del dottor Salvatore Genova. Era con noi a Verona: poi diventò deputato del Psdi. Non so perché abbia fatto questa scelta. Ha parlato con Nicola Rao, autore del libro Colpo ai cuore {Spedine & Kupfer, dd. 208, euro 17, ndr ), e in tv».
Che cosa prova nei confronti di Genova?
«Non capisco perché dice certe cose. Che io non confermo affatto».
Rimpianti, rimorsi?
«Ho creduto solo in Dio e nello Stato. Certi interrogatori richiedono coraggio. Dicevamo, ai nostri tempi: ci vuole stomaco. Non si domandava mica: scusi, è stato lei? No. Le norme del codice di procedura penale non bastano. Abbiamo fermato altre stragi. Se siamo stati più decisi negli interrogatori, queste sono cose che ogni poliziotto si porta nella tomba. Sono cose che appartengono allo Stato, e basta».
Tutto sembra crollargli addosso. L'età, la delusione, gli insulti al cuore, un orecchio che non va. Ciocia, però accetta di parlare e prega la moglie, insegnante in pensione, di offrire qualcosa. «Un'aranciata, ecco. No, l'acqua no». È triste Ciocia, e non coglie il tentativo di battuta. «Anche l'acqua, perché no?». L'accusa più imbarazzante è infatti quella di aver bendato gli arrestati, poi costretti testa in giù a bere «acqua e sale». Ci si sente con i muscoli a pezzi, fino a perdere coscienza del proprio corpo. Ci si sente ai confini della morte, dicono. Nel campionario osceno e feroce delle torture, lo chiamano waterboarding».
Che cosa ne pensa, dottor Ciocia?
«Non è così che si fa parlare un terrorista. Questo non esiste. I metodi sono altri». 
Può raccontarli?
«Bisogna indagare a fondo. Sapere tutto. Famiglia, lavoro, hobby, segreti, amanti, tutto. E far sentire l'interrogato in tuo totale possesso. Sono insegnamenti di grandi poliziotti: i miei maestri, Paolo Zamparelli, Angelo Mangano... Con Mangano, ero commissario giovane a Corleone. Prendemmo prima Luciano Liggio, grazie a un confidente, poi Salvatore Riina. Siamo stati notti e notti tra i cespugli, senza fumare né parlare». 
Tutto qui?
«La mia polizia è questa: dura, durissima, fatta di indagini, sacrifici, attese, pedinamenti». La polizia, si dice, «è il braccio violento della legge».
Si riconosce in questa definizione?
«No, semmai è il braccio armato dello Stato. Così va meglio». 
Torniamo alle accuse che vi sono state rivolte nel caso Dozier. Le donne brigatiste raccontarono le sevizie più gravi, vere torture.
«Io ho sempre rispettato le donne».
A Napoli lei ha sconfitto i Nuclei armati proletari. Il successo che la portò, poi, all'Ucigos. Che metodo usaste?
«Non ci furono torture, neppure quella volta. Ma quali torture? Ci fu, invece, uno scoppio in un covo. Trovammo centinaia di chiavi con cartellini e iniziali: abbiamo passato giorni e giorni, e anche le notti, a cercare di collegare quelle chiavi con gli altri covi. Finì con quattromila indagati. Un lavoro mostruoso: è quella la mia polizia». 
C'è una foto famosissima, dottor Ciocia, nella quale lei è appena alle spalle di Francesco Cossiga, dietro la Renault rossa con il corpo di Aldo Moro, in via Caetani a Roma. Che cosa ricorda di quei minuti?
«Cossiga, poco dopo, mi chiese di accompagnarlo nella chiesa più vicina. Entrò, rimasi fuori con altri due o tre. All'uscita mi disse: "Non sono più ministro dell'Interno". Quanto tempo è passato».
Trent'anni. Ma, ogni tanto, si legge ancora di nuovi pestaggi, dopo un arresto. Lei ormai è in pensione e può parlare liberamente. Un'ultima domanda: sono ancora tanti i dottori De Tormentis?
«La vuole un'altra aranciata?».

5 commenti:

  1. Che brava gente sti massoni della fiamma tricolore....

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  2. Dopo una lunga carriera, in polizia de Tormentis, alias Nicola Ciocia, ha avuto una esperienza di segretario federale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore a Napoli, nel 2003-2004... Cosa potevano pretendere da un uomo, si fa per dire, con queste qualità.

    Espedito Minetti..

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  3. mi sembra strano che il Movimento Sociale Italiano Fiamma Tricolore di cui fu fondatore Rauti avesse come segretario della federazione provinciale di Napoli Ciocia-De Tormentis, gli ambienti rautiani del MSI romano (e non solo nel MSI a Roma) erano fermamente contrari alla campagna a favore del referendum sulla pena di morte (1981) lanciata dalla maggioranza almirantiana del MSI (Rao nel terzo ed ultimo libro della trilogia della Celtica "Il piombo e la celtica. Storie di Terrorismo Nero dalla guerra di strada allo spontaneismo armato" porta il caso di Torino (con un paio di testimonianze) e credo che anche Telese nel libro "Cuori neri" all'interno del capitolo dedicato all'omicidio di Paolo di Nella parli della contrapposizione tra almirantiani e rautiani all'interno del MSI capitolino circa il quesito referendario sulla pena di morte (almeno così mi sembra di ricordare) inoltre del primo MSI Fiamma Tricolore faceva parte Cesare Biglia consigliere provinciale MSI a Milano negli anni '70 vittima della violenza degli extraparlamentari di sinistra durante la "settimana antifascista" del 1975 seguita all'omicidio Varalli (venne colpito a sprangate e non si riebbe mai completamente da quella aggressione) ma anche Giorgio Pisanò che fu il primo a fare agli organi di stampa i nomi dei due responsabili dell'omicidio dell'agente di Pubblica Sicurezza Antonio Marino durante il giovedì nero (12-4-1973) è vero altresì che per un certo periodo il MSI negli anni '60 e '70 (periodo proseguito in parte anche negli anni'80) ebbe tra i propri parlamentari i generali De Lorenzo, Miceli, Viviani, quindi se da un lato Rauti era contrario alla pena di morte ed ebbe tra i suoi primi seguaci vittime della violenza anni'70 dall'altro rimase nel solco del MSI almirantiano che accoglieva nei suoi ranghi esponenti delle forze dell'ordine e delle Forze Armate

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  4. Nel 2003-2004, il dottor De Tormentis era il segretario provinciale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, sotto la segreteria Romagnoli, sarà strano ma tremendamente vero.

    Espedito Minetti

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