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Cardini racconta la gioventù di un "cattivo maestro"

La polemica con "La Repubblica" ha ispirato a Franco Cardini un gustoso "Amarcord del cattivo maestro" pubblicato dal newsmagazine Totalità, che io riprendo (la seconda parte) dalla rassegna stampa di Arianna Editrice, uno strumento formidabile.  
di Franco Cardini
(...) sognavamo una forza politica nuova che fosse in grado di combattere il Vecchio nel nome dell'Antico e che propugnasse una rivoluzione sociale nel nome non del materialismo, bensì dello Spirito.  Ma ci dibattevamo tra senso dello stato e umanesimo del lavoro gentiliani da una parte, “rivolta contro il mondo moderno” evoliana dall'altro cercando di conciliare tali istanze tra loro senza renderci conto che a tale scopo sarebbe stata fondamentale una critica radicale e sistematica della Modernità come primato dell'individualismo e dell'utilitarismo economicistico; e che intanto militavamo in una formazione politica come il MSI, che metabolizzava le nostre confuse ma generose istanze in termini di appoggio sostanziale e costante alla logica atlantista, al materialismo capitalistico occidentale e al conservatorismo di schieramenti ch'erano sì anticomunisti, ma strumentalmente e “a senso unico”, per difendere i loro privilegi.

          Cadendo nell'equivoco di un anticomunismo rigoroso e intransigente, abbracciammo quindi una per una tutte le cause che facevano l'interesse di lorsignori: nel nome dell'anticomunismo, stavamo con i tirannelli sudvietnamiti collaborazionisti degli americani contro i Vietcong; fummo con gli interessi francesi contro i combattenti per la liberazione dell'Algeria (fino a simpatizzare con il terrorismo dell'OAS), facemmo il tifo per l'Unione Minière in Congo contro i patrioti di Lumumba e per l'apartheid  sudafricana convinti di dover difendere l'endiadi Europa-Occidente; in tale quadro, rientrava anche l'opposizione alle istanze “democratizzatrici” della Chiesa espresse nel Concilio. Eppure, qualcosa c'impediva di stare fino in fondo al gioco della contrapposizione est-ovest: ad esempio, non riuscimmo a commuoverci più di tanto per l'assassinio di  JFK. C' era qualcosa, in quel suo sorriso disarmante uscito da un film di marines, che non ci convinceva.
            E infatti a salvarci, e a farci capire che cosa c'era che non andava,  furono  due incontri con altrettanti personaggi “fuori dal coro”: Attilio Mordini e  Jean Thiriart.
            Da Mordini apprendemmo come coniugare la labilità e la casualità delle vicende storiche con la solidità eterna e universale della metafisica e della metastoria; imparammo che Modernità e Occidente erano tutt'uno e compartecipavano di una grande apostasia nel nome della quale l'individualismo e il culto del profitto avevano assoggettato e adulterato qualunque altro valore; ci svincolammo del tutto dal malinteso dei residui risorgimentalistici e nazionalistici;   comprendemmo che, sul piano ecclesiale, non era affatto il caso di regredire alla controriforma tridentina ma ch'era indispensabile il “balzo verso l'alto”, il recupero del grande universalismo cristiano patristico e teologico in grado di ripensare in modo originale i rapporti con ebraismo e Islam e   quelli con le stesse culture “pagane”, sulla linea del magistero espresso nel De pace fidei di Nicola Cusano. Alla luce di tutto ciò, e sulla base della lezione del grande conciliarismo quattrocentesco che rimetteva in discussione non già il Primato di Pietro o l' auctoritas pontificia, bensì l'assolutismo monarchico papale  con le sue radici medievali (in questo senso imparammo a dirci “ghibellini”, pur prendendo le distanze dal dogmatismo antitemporalista vivo tanto a destra quanto a sinistra), fummo in grado di riconsiderare più equamente lo stesso Vaticano II distinguendo tra la bontà intrinseca di molti dettati conciliari e la cattiva qualità della loro applicazione che stava rischiando di tagliare alla radice il rapporto con la tradizione e con la devozione popolare espropriando i semplici e gli umili della loro fede.
            Da Thiriart (del quale è stato recentemente ristampata  cura di Giuseppe Spezzaferro  il libro  L'Europa: un impero di 400 milioni di uomini)  imparammo che quella tra mondo “libero” e mondo “socialista” era una falsa contrapposizione; che in realtà le due megapotenze, USA e URSS, avevano messo insieme un sapiente teatrino basato sul gioco delle parti allo scopo di dividersi il mondo spartendosene l'egemonia e render impossibile qualunque cambiamento; ch'erano possibili, anzi necessarie, sia una “terza via” socioeconomica in grado di mediare tra capitalismo e collettivismo, sia una “terza forza” tra i due colossi statunitense e sovietico. Per questo, c'era (c'è) bisogno di un'Europa forte, unita, conscia della propria identità. Su questa strada, intrapresa da noi “ragazzi degli Anni Quaranta” che sull'esempio di Thiriart fondammo in Italia la “Giovane Europa”, siamo stati seguiti dai “ragazzi dei Cinquanta-Sessanta”, che con rigore e cultura più solidi dei nostri, sotto la guida di un intellettuale e studioso della lucidità di Marco Tarchi e seguendo il modello di Alain de Benoist, dettero vita fra il terzultimo e il penultimo decennio del secolo scorso alla “Nuova Destra”, poi trasformatasi in movimento  di “Nuove Sintesi”. In  tal modo venne affrontato anche l'equivoco-tabù del confronto destra-sinistra, che non ci aveva mai né convinti, né soddisfatti. Il nostro sogno e la nostra mèta consistevano nella liberazione della fantasia e al tempo stesso nella conciliazione metapolitica di  tradizionalismo etico-storico-antropologico, socialità e patriottismo europeista. Quel che volevamo, era la costruzione di un disegno che traducesse in termini politici una sintesi di Donoso Cortès, Tolkien ed Ezra Pound. 
            Un sogno impossibile? Molto probabilmente sì. Sta di fatto che cominciammo col perdere la nostra battaglia nel e col MSI: dal quale non ci restava che uscire, noialtri a metà degli Anni Sessanta,  Tarchi e i suoi qualche lustro più tardi. Nel mezzo c'era stato il Sessantotto; e c'erano stati i fatti di Valle Giulia, dove il MSI dei due “cordiali nemici” Almirante e Caradonna aveva mostrato il suo vero volto ottuso e forcaiolo. Eppure, se avessimo mantenuto la nostra presenza e le nostre posizioni all'interno di quel partito, forse ci avrebbero comunque cacciati, ma forse  non ci sarebbero invece stati  né Fiuggi, né AN, né l'alleanza col berlusconismo corrotto e corruttore,  né il PdL. Forse la stessa politica italiana qual è oggi sarebbe stata diversa. E, soprattutto, sarebbe magari davvero nato il partito sognato da Roberto Mieville, da Primo Siena, da Beppe Niccolai, da Adriano Romualdi. Ma i ragazzi di Mordini, come più tardi quelli di Tarchi, hanno fallito. Le conseguenze del nostro fallimento sono sotto gli occhi di tutti.
            Eppure, nonostante tutti non mi pento, non mi vergogno, non rimpiango nulla, non mi arrendo. Amo sconfinatamente la politica: anche se essa non ha mai amato me e mi ha obbligato all'Impoliticità perpetua. Certo, se l'amore reciproco non è nato, è stato anche e soprattutto per colpa mia. Avrei potuto fare altrimenti: ma a prezzi morali troppo alti. Non me la sono sentita di  pagarli: forse a causa dell'educazione cattolica, forse per onestà, forse soprattutto per superbia.  Il partito che sognavo a occhi aperti non è d'altra parte mai nato: probabilmente  per la buona ragione che avrebbe incarnato un paradosso politico impossibile, e non poteva quindi nascere.
             Il mio destino è di aver  scelto giovanissimo un partito che mi andava stretto e di non averne poi trovato più nessun altro, restandone privo da ormai quasi mezzo secolo. Eppure ho sofferto questa privazione: non mi ci sono mai abituato perché rimango un uomo disperatamente di parte, un fazioso feroce come il mio concittadino Alighieri.  Il mio partito, la mia Isola-Che-Non-C'è, l'ho visto balenare qua e là nella storia, nei luoghi e nei contesti più ossimoricamente improbabili e contraddittori: sulla piana di Roncaglia nel 1154, a Montaperti nel 1260,  in Vandea tra 1792 e 1793, tra il Palazzo d'Inverno e Piazza San Sepolcro fra 1917 e 1921, pochi mesi d'estate nella Spagna del '36, qua e là nelle sierras  attorno al “Che”.  A settantun anni, resto un “Cattivo Maestro” che si meriterebbe solo Pessimi Scolari, come il ragazzaccio Franti. Ricordate?: “...e l'infame sorrise”. Quel sorriso impaurisce e scandalizza ancora i benpensanti tartufi di tutto il mondo. Qua la mano, vecchio infame compagno: tu sì che mi capisci. Siamo della stessa pasta.       

6 commenti:

  1. immenso rispetto al professore, ma anche lui cede a schematizzazioni storiche che sono simili an quelle dei tartufi che vuole combattere.

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  2. magari ci fossero in questo paese più "cattivi maestri" come lui e meno Gad Lerner o Gasparri....

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  3. pensiero illustre,condivido il commento postato prima di me ,ce ne fossero di persone intelligenti coma lei .rispettosamente la saluto

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  4. Grande Cardini, uno dei più onesti intellettuali di destra che ci sono sulla scena italiana ... Curioso è il riferimento a Nicolai che quando fu intervistato, rifiutò sempre di dichiararsi di " destra " ma disse anzi " che lui era di sinistra ". A tal proposito, mi vengono in mente le parole di Mussolini che affermava che in un regime democratico tradizionale, le sue idee sarebbero state di sinistra. A tal proposito, è triste pensare come la fascisteria ( mi scuso con Tassinari per il furto del termine ) abbia più volte agito per manovalanza di organizzazioni politiche che diceva di odiare ...
    Grazie per l' attenzione
    Giovanni

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  5. Concordo. Franco Cardini uno dei piu' saggi, acuti e d appassionati intellettuali e critici mai esistiti. Non solo a destra, io credo proprio in Tutta la nostra Povera italia. Ora pero' quel passato e' andato. Niente piu' Carta del Carnaro, niente Péron o Jose' Antonio o Ledesma Ramos, niente Nasser, niente rivoluzione khomeneista......Camerati, lasciate stare gruppi o fruppuscoli che non porteranno da nessuna parte, ma faciamo un appello Alla Nazione per la nostra Sovranita Nazionale per liberarci una volte per tutte dai potentati economici stranieri e dall'allenza atlantica. Lasciate perdere i soliti discorsi triti e triti che sanno di razzismo o di demagogia spicciola e di poco costrutto. C'e' una speranza. Giochiamocela. Fino in fondo e...............Sursum corda!


    Ago

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  6. Nulla è perduto, nihil difficile volenti et perseverandi...gli insoddisfatti nell'area nazionale sono numerosissimi e attendono solo un nuovo metabolizzatore di tutto questo disappunto, rammarico, orgoglio e irridentismo.
    Berlusconi dando la fiducia al vampirone ha deluso tantissimi, c'è la possibilità di fare un movimento puro, disinteressato, all'avanguardia delle soluzioni che la politica invoca, per non farci desistere lentamente nell'oblio, nell'amarezza di una vita non combattuta. Al di là della destra e della sinistra.

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