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Fuori dal cerchio/9- Colombo: l'integralismo? Una bestia bruttissima

Una chiusa profetica per la recensione di Andrea Colombo, con cui si avvia a conclusione la lunga carrellata sul libro di Nicola Antolini
Fuori dal cerchio. Visto da sinistra di Andrea Colombo
Certo che sono strani questi “fascisti del terzo millennio”, almeno per come appaiono in Fuori dal cerchio. Viaggio nella destra radicale italiana (Elliot, pp.382, euro 18.50). E’ opportuno notare che tanto il titolo della lunga e dettagliata inchiesta è fedele al testo, quanto infedele e anzi fuorviante è il sottotitolo. Oggetto della stessa, infatti, non sono le organizzazioni arcaiche della destra fascista, da Forza Nuova a Milizia, ma l’unica che abbia rotto con quella tradizione sino al dichiararsi sì radicale, però non più “di destra”.

L’autore, Nicola Antolini, è un uomo di sinistra, già militante e consigliere comunale del Pci a Modena. Non pentito, però nemmeno attaccato col Bostik alle certezza identitarie dell’altroieri. Ha ricercato e poi scritto non per sostenere o combattere, ma per capire, come si dovrebbe fare d’abitudine e invece quando capita c’è da stappare lo champagne.
Strani, anomali e verrebbe quasi da chiedersi se davvero fascisti. Tali orgogliosamente si dichiarano, sia chiaro, e i riferimenti al ventennio sono frequentissimi, anche se a conti fatti non vanno molto oltre quello che, in privato, ammettono anche moltissimi “antifascisti”, e anche se poi ipocrisia e opportunismo gli impediscono di dirlo apertamente: e cioè che il fascismo mussoliniano non fu solo olio di ricino e santo manganello, milizia e difesa della razza, ma anche futurismo, pulsioni ribelli, introduzione dello stato sociale, modernizzazione, politiche amministrative, abitative e urbanistiche tutt’altro che da buttar via. Tutte ovvietà, ma solo a fartele scappare, puoi star certo che ti ritrovi appesa la nomea di revisionista, traditore, fiancheggiatore, venduto e via delirando.
Fascisti sì, però  di destra no: quella, come la speculare “sinistra”, è considerata ormai una categoria buona tutt’al più per incartare il pesce, come i giornali ingialliti dal tempo. «Libertà o deriva autoritaria? Secondo me è una domanda più attuale rispetto alle vecchie dicotomie destra-sinistra, fascismo-antifascismo con cui ci siamo tormentati per anni», dice nel libro Miro Renzaglia, intellettuale non organico ma neppure distintissimo da CasaPound. «Io – prosegue – voglio un’estensione dei diritti. Non c’è nessun ritorno indietro. Voglio essere più libero oggi di quanto lo sia stato ieri. Sono stato massacrato per decenni in quanto militante neofascista e proprio io mi dovrei accodare alle richieste di restrizione dei diritti, per esempio quelli dei gay?».
E Gianluca Iannone, leader riconosciuto di CasaPound: «La sinistra un tempo aveva come motto “vietato vietare”, “immaginazione al potere”, “una risata vi seppellirà”. Erano slogan pieni di vita, di provocazione intellettuale, di forza. Oggi c’è una sinistra grigia che incarna l’ordine, che come slogan e contenuto propone il divieto continuo. Questa è reazione. Ridateci il “vietato vietare”».
I fascisti “oltre la destra” sono favorevoli all’aborto e alle coppie di fatto. Nemici di ogni omofobia. Ostili a ogni ipotesi di privatizzazione della scuola. Convinti che la fede religiosa sia faccenda privata nella quale neppure uno “stato etico” dovrebbe impicciarsi. Animati da una robusta connotazione sociale, a partire dal fronte nevralgico della casa, quello sul quale CasaPound è nata, prima con le Osa (Occupazioni a scopo abitativo), poi facendo della richiesta di “mutuo sociale” la prima linea della loro attività. Squadernano una quantità di riferimenti culturali persino troppo folta, vicina a sconfinare nell’eclettismo. Accanto a Brasillach e Mishima non c’è solo Che Guevara, e sin qui nessuna sorpresa. Ma il Luciano Bianciardi della Vita agra. E addirittura Elvio Fachinelli, che pochissimi ricordano anche a sinistra e che, giustamente, Renzaglia considera più interessante del “luddista” Pasolini.
Nel complesso, tra le righe di queste interviste si percepisce un senso inequivocabile di liberazione, che va molto oltre la semplice riscoperta di sperimentazioni linguistiche, già inaugurata negli anni Settanta da Marco Tarchi con La voce della fogna, o la connotazione sociale, che c’era già, in quegli stessi anni, con “Lotta di popolo”. Il segreto, probabilmente, sta nella fine della centralità del comunismo, che aveva condizionato in tutte le sue varie fasi storiche il neofascismo (e prima il fascismo). Fino a metà anni ’70, era stato l’anticomunismo a dettare legge nella destra estrema, a dettare comportamenti e condizionare se non le teorie certo le pratiche. E’ vero che alla fine di quel decennio, col 77 nero, con Terza Posizione e ancor più con i Nar, quell’anticomunismo era stato dichiarato storia passata. Ma anche allora proprio il tentativo di superare l’anticomunismo, per volgere le mani e spesso anche le pistole contro lo Stato, aveva costituito l’asse portante dell’innovazione. Il comunismo, come nemico da combattere o come totem negativo da cui affrancarsi aveva mantenuto una sua forte centralità. Al contrario, i “fascisti del terzo millennio” forse sono proprio questo: fascisti senza più l’ossessione del comunismo, senza più nemico principale da combattere e da cui essere combattuti.
Nelle parole degli intervistati da Antolini, non solo del leader Iannone o degli intellettuali di riferimento, ma anche dei militanti più giovani, la camicia di forza appare lacerata, forse definitivamente. Non è l’anticomunismo a essere stato relegato nell’estrema periferia: è la necessità stessa di confrontarsi, in un modo o nell’altro, con il comunismo, e forse è proprio questo l’elemento che innesca una deflagrante reazione a catena, suscita curiosità prima impensabili, permette, forse per la prima volta, di spaziare a tutto campo nella riflessione e nelle pratiche politiche. Una liberazione. Che sarebbe ancora più completa se il conto con le origini fasciste venisse risolto fino in fondo, fino a lasciarsi alle spalle anche la necessità di rintracciare una genealogia storica che confonde più di quanto non chiarisca.
Questi fascisti che di sé dicono «facciamo quello che la sinistra non fa più» restano avversari. Come orizzonte mantengono lo Stato etico non l’estinzione dello Stato e, per quanto animati da una forte valenza sociale, non considerano né possono considerare fondante il conflitto di classe. Ma sono appunto avversari, come segnalano nel libro gli intervistati provenienti dalla sinistra: Luca Telese, l’autore di Cuori neri, Ugo Tassinari, l’ex Br Valerio Morucci che, con i militanti di CasaPound, ha voluto e ottenuto, circa un anno fa, un confronto pubblico ritenuto scandaloso tradimento dagli integralisti di entrambe le parti. Non più quel nemico nel senso schmittiano del termine, nei confronti del quale ci si deve porre nell’ottica nefasta della pulizia etnica e dello sterminio.
CasaPound non esaurisce certo l’area del neofascismo ed è probabile, probabilissimo che tra i suoi militanti ce ne siano di ben più arcaici e schematici di quanto non siano i leader e gli intellettuali del gruppo. E tuttavia l’esistenza di un “neofascismo” che se la piglia con l’omofobia invece che con i gay e con i divieti invece che con la libertà dovrebbe fare piacere a qualsiasi persona ragionevole. Invece c’è da giurare che solo a scriverlo fioccheranno le accuse di alto tradimento. L’integralismo è una brutta bestia. Bruttissima.

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