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Il dossier di "Gli altri"/2 - Strage di Bologna, perché sono innocenti

Sono passati trent'anni dall'inferno di quel 2 agosto 1980, quando gli orologi della stazione di Bologna si fermarono e 85 vita furono spazzate via dalla più deflagrante e assassina fra le troppe esplosioni che avevano costellato il decennio precedente. È la strage più sanguinosa e feroce. È quasi l'unica di cui non si possa dire, "una strage senza colpevoli", tre persone essendo state condannate in via definitiva per quel misfatto. Ma è anche quella sulla cui matrice regnano più dubbi, e sulla colpevolezza di quei colpevoli ormai giurerebbero in pochi. 

Ad avanzare quei dubbi non sono stati gli amici degli imputati, non è stata la destra da cui provenivano. I Gasparri che oggi strepitano sono rimasti per anni, anzi decenni, in silenzio, troppo impauriti e troppo calcolatori per prendere una posizione aperta quando non erano in tanti a farlo. A sollevare quei sospetti sulla colpevolezza di Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini è stata per prima la sinistra, sono, stati una testata e una intellettuale militante certo non sospetti di simpatia per i fascisti di qualsivoglia millennio: il manifesto e Rossana Rossanda. Ed è nata dalla sinistra la più importante associazione innocentista, "E se fossero innocenti". Certo, gli imputati erano stati terroristi d'estrema destra, e tuttavia troppe erano le ombre che oscuravano la verità dell'unico teste che inchiodava gli ex militanti dei Nar, Massimo Sparti, malavitoso e nazista. I parenti che smentivano in coro la sua ricostruzione. Le contraddizioni su quei documenti che, Fioravanti gli avrebbe chiesto per Francesca Mambro subito dopo la mattanza. L'assurdità di quella confessione che Fioravanti avrebbe deposto nelle sue infide mani, «Hai sentito che botto? Noi c'eravamo vestiti da tirolesi». Tanto per passare inosservati. La scarcerazione per gravissimi motivi di salute, un cancro allo stato terminale, retroceduto poi, anzi scomparso miracolosamente. La rimozione del direttore del centro clinico che si rifiutava di confermare l'inesistente malattia mortale. L'incendio in cui andarono distrutte le cartelle cliniche incriminate proprio pochi giorni prima che venissero ricontrollate. Le versioni che cambiavano di processo in processo, in una vertiginosa girandola di bugie. Non c'era bisogno di essere fascisti per avvertire l'olezzo dell'intrigo, della manovra torbida nemmeno tanto ben allestita, della costruzione a freddo di un capro espiatorio.
Non c'era solo Sparti del resto. Troppo ambigui, per dire poco, gli altri testimoni. Quella Raffaella Furiozzi che all'epoca della strage era una bimba e che disse di essere stata informata di ogni cosa da un fidanzato, nel frattempo deceduto, che a sua volta aveva saputo tutto da una terzafónte. In gergo si dice "de relato de relato" e di solito conta ben poco. Oppure Angelo Izzo, quel galantuomo che nell'80 stava in galera già da cinque anni, non per terrorismo ma per stupro e omicidio, e che uscito di galera ha ucciso altre due donne. Fu lui a fornire l'elemento mancante all'impianto accusatorio: il movente. Fioravanti aveva ammazzato Piersanti Mattarella per conto di Licio Gelli. Aveva eliminato Mino Pecorelli su ordine del venerando. Aveva messo la bomba per conto della loggia. Era il killer della P2 e dunque non c'era più da chiedersi perché, senza mai aver giocato prima col tritolo in vita sua, si fosse risolto a un così efferato crimine. Gli incappucciati ordinavano. Lui eseguiva. Giovanni Falcone, un tipo serio, ascoltò Izzo, poi lo incriminò per falso. Per quei due omicidi, Fioravanti è stato assolto, e anzi in un caso neppure è arrivato al rinvio a giudizio. Gelli non lo ha mai visto in vita sua. Il movente approntato grazie a Izzo, sempre il galantuomo, è caduto.
La strage è rimasta "appesa nel vuoto". Senza movente. Senza ragione.
Ce n'era più che a sufficienza per dare vita a una campagna innocentisia, e se, all'inizio la sinistra storse parecchio il naso, con gli anni sono stati sempre di più i politici, gli intellettuali, i militanti che dell'innocenza di quei colpevoli si sono convinti. E lo sono anche molti, moltissimi magistrati, anche se devono stare bene attenti a dirlo. Negli anni '90 Guido Salvini, nel quadro dell'ultima inchiesta su piazza Fontana, quella che ha portato all'accertamento delle responsabilità di Freda e Ventura, trovò elementi che scagionavano i Nar e indicavano una pista alternativa. La procura di Bologna lo ha denunciato al Csm, lo ha accusato di "invasione di campo", gli ha dannato la vita e l'esistenza professionale per anni e anni. Sempre in nome della verità e dell'antifascismo, per carità. All'epoca non era facile indicare la direzione in cui avrebbero dovuto indirizzarsi le indagini se non fossero state "impistate" verso i Nar. Negli anni, però di elementi nuovi ne sono emersi eccome. Carlos, il terrorista internazionale, ha trovato modo di raccontare che alla stazione quel giorno e in quell'ora, c'era un suo uomo Thomas Kram. Non che sia stato lui a mettere la bomba, per carità, tutta una manovra israeliana per incastrarlo, giura Carlos; uno che conosce solo le maniere oblique. Sta di fatto che senza la sua ammissione della presenza di Kram a Bologna non si saprebbe niente, e nemmeno si saprebbe che per le autorità italiane non era affatto un nome ignoto. La sua presenza, anzi, era stata segnalata col massimo di urgenza.
Anche Francesco Pazienza, metà agente dei servizi, metà uomo di Gelli, uno di quelli condannati per il cosiddetto "depistaggio", ha detto infine la sua: «Il depistaggio è stato fatto dal Sismi per non far emergere la reale verità della bomba di Bologna. Secondo l'allora procuratore Domenico Sica c'era di mezzo la Libia, e coinvolgerla in quel momento avrebbe voluto dire tragedia per la Fiat e l'Eni». La ricerca "innocentista", ormai, ha ceduto il passo a quella sulla verità, e il libro di Rosario Priore, il magistrato che indagò su Ustica, e Giovanni Fasanella è un passo importante in quella direzione. Solo da Bologna, purtroppo, nessun dubbio viene accolto, e chi sostiene l'innocenza dei condannati, chi insiste sulla necessità di cercare altrove per non lasciare quel crimine impunito viene trattato da traditore, da "revisionista".
Perché per la sinistra la strage di Bologna è stata in effetti uno spartiacque, e lo è ancora. Separa quelli che pensano che difendere l'innocenza degli ex Nar sia politicamente dannoso, o che ritengono, come mi hanno detto in molti, «Sono innocenti, però non sta a noi difenderli. Ognuno si difende i suoi», da quelli per cui le ragioni della verità vengono prima di quelle della convenienza di fazione o dell'antifascismo. Sono due sinistre diverse. Opposte.

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