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L'ultimo avventuriero: Albert Spaggiari

Il 18 luglio del 1976 a Nizza una banda mista di marsigliesi e di ex combattenti dell'Oas svaligia il caveau della Société Générale. Il capo è un ex parà di origini italiane, Albert Spaggiari, reduce dai fronti di Algeria e di Indocina. Sigla il colpo del secolo (prima di essere superato da un altro fascio-criminale, Valerio Viccei, col saccheggio di Knightsbridge:  comunque il bottino francese è stimato in 40 miliardi circa) con una frase irridente. "Senza odio, senza armi, senza violenza", come si legge nel manifesto che gli ha voluto dedicare nell'anniversario la comunità politica che ruota intorno a un antico camerata e amico del grande avventuriero, Paolo Signorelli, che ne offre un ritratto affettuoso, spingendosi a parafrasare Brecht per legittimarne l'operato:
In Indocina e in terra di Europa fece mostra di quale fosse la sua statura di non-conforme. Una canaglia, insomma, per les bourgeois meschini, uomini d’ordine per paura, rapaci per convenienza. “Un simpatico guascone”, così scrissi di Albert da me conosciuto prima della rapina del 18 luglio: “Un viandante, un viaggiatore dei sogni”. Il prosciugamento del caveau della Société Général di Nizza? Una beffa per i benpensanti e per gli usurocrati della Banca. Gai Saber e gusto della dissacrazione. E poi, è più colpevole l’uomo che rapina una banca o la banca come predazione istituzionale? Sicuramente la banca. Così, non a caso, sosteneva Bertold Brecht. Per Albert il colpo rappresentò un’opera d’arte. Anche perché a lui era il gesto estetico che interessava, non il danaro.”Non ho tenuto un soldo, la mia parte è andata agli oppressi di Portogallo, di Jugoslavia, d’Italia”. Arrestato a seguito di un’improbabile congerie di coincidenze mai confessò né fu infame. Erano solo linee che s’incrociano, il piano che Albert passa al giudice che lo interroga il 10 marzo del 1977. Si porta alle spalle del magistrato e salta dalla finestra del secondo piano del Palazzo di Giustizia. Cade sul cornicione e di lì sul tettuccio di una Renault 6. Una moto col motore acceso l’attende: un gesto di vittoria e via verso la libertà. Lo cercheranno ovunque, dall’Argentina all’Austria. Muore di tumore in Alto Adige. Fu un camerata italiano insieme alla sua ultima donna a trasportare la sua salma in Francia – come lui aveva chiesto – per seppellirla a Laragne [la fanno ritrovare davanti alla casa della madre]. L’ultima beffa: nessuno si accorse di quel “particolare” trasporto. Arrivederci vecchia Canaglia.
Qualche particolare in più ce lo offre un altro grande vecchio della fascisteria italiana, Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, nella sua autobiografia. Lo conobbe in un contesto mondano, a Rio de Janeiro: lui in vacanza per il Carnevale, l'altro, latitante da un paio di anni, "attratto" dalla runa che il "barone nero" portava al collo. Diventano amici. E Spaggiari gli racconta dell'arresto (per una soffiata), della trappola dei poliziotti (ma neanche un caffè alla benzedrina gli fa uscire i nomi dei complici e resta lui solo "incastrato"), della fuga, resa difficoltosa dalla mancanza di un orologio, per non mancare l'appuntamento con l'unico complice.
Dopo le vacanze, i due si incontrano ancora: il bandito viene a trovare l'amico politico a Milano (in primavera era stato eletto deputato) e gli fa leggere in anteprima la sua autobiografia, il terzo libro che sta scrivendo. Gli parla del suo ultimo progetto: svaligiare la banca del Partito comunista francese per mettere mano all'archivio. La latitanza non gli impedisce di farsi beffe della polizia francese, e continua a concedere interviste in giro. Si stabilisce in Veneto dove si ristruttura una vecchia baita. L'insegna, un motto degli ergastolani: "Tutto mi fa ridere".  Nella quiete della provincia trevigiana passa anche Mario Merlino che nella baita di Spaggiari scriverà alcuni capitoli di "Strade d'Europa"
Quando sta per morire, divorato da un tumore ai polmoni, nel 1989, il bandito convoca Staiti e gli cede i diritti d'autore dei suoi libri per l'Italia. Pochi giorni dopo compare sul "Corriere della Sera" un necrologio di saluto all'"ultimo avventuriero". Firmato: il tuo amico Sagittario [il comune segno zodiacale] Tom. Qualche mente disturbata fantastica si tratti della sigla di una organizzazione segreta fascista.
Anche quel "grande colpo" è stato al centro di mille congetture: perché coincide con la  breve e intensa campagna militare dei Gruppi di azione ordinovista di Concutelli, che in due settimane, tra il 10 e il 23 luglio consumano l'omicidio Occorsio, una rapina per raccogliere armi in una villa di Tivoli (e ci scappa il morto) e un esproprio di finanziamento alla Bnl del ministero del Lavoro. E numerosi sono gli intrecci tra il resaux degli ex Oas operativi tra penisola iberica, sud della Francia e Italia e la rete clandestina ordinovista e avanguardista che nei due anni precedenti si è intrecciata per poi rompersi per insanabili divergenze politiche.
Al centro di molte fantasie dietrologiche è l'idea che il giudice Vittorio Occorsio sia stato ucciso non solo per il suo ruolo di "persecutore" del Movimento politico Ordine nuovo, ma proprio perché era vicino a sciogliere il nodo dei rapporti tra fascio-criminalità, grande malavita internazionale ("i marsigliesi") e l'immancabile loggia P2. Ma 35 anni dopo mancano ancora i riscontri. Lo stesso Vincenzo Vinciguerra, che pure ci tiene a infilare, nella sua autobiografia, che l'ultima persona che vede prima di consegnarsi è Annie Otal, l'ex donna di Spaggiari che aveva avuto una storia anche per Concutelli, non saprà offrire molto più di qualche pettegolezzo sulla "grande cupola".
Certo è che, per rendere omaggio all'amico, Signorelli finisce per riconoscere l'uso politico dei fondi "espropriati", serviti evidentemente a finanziare le attività di gruppi anticomunisti italiani, portoghesi (Guerin Serac?) e croati. Ma questo ci sembrava già acquisito come fatto storico.

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