Ricordando Tomaso Staiti nel terzo anniversario della sua scomparsa
Il 1 marzo del 2017 andava oltre Tomaso Staiti di Cuddia, classe asse 1932, origini nobiliari piemontesi, milanese d'adozione, temerario, elegante, anticonformista, uno dei protagonisti centrali del rilancio della destra politica in una Milano devastata dall’odio, intrisa da culture mortifere.
Missino atipico, lontano mille miglia dai riti neofascisti, era però attento, molto attento ai fermenti del mondo giovanile e alle sue vicende. Per anni girò le carceri e i tribunali d’Italia per aiutare i prigionieri politici, i perseguitati e cercò di far luce, per quanto possibile, sui tanti “segreti di stato” che costellano la vicenda repubblicana.
Ha molto e bene e intensamente vissuto Tomaso Staiti di Cuddia (nella foto con Cesare Ferri, appena uscito dal carcere dopo il processo per la strage di Brescia e Marco Valle: è l'apertura della campagna elettorale del 1987)che se n'è andato ieri e oggi starà ridendo delle nostre ciuotarie insieme all'amico del cuore, Albert Spaggiari. Non si è fatto mancare niente: donne e beffe, cazzotti e cazzate ma anche un impegno politico serio, rigoroso, mai servo ma sempre libero e non timoroso di superare i limiti. Questo gli ha permesso di farsi cacciare dal Msi il giorno che Fini si era ripreso la segreteria perché insieme a una dozzina di altre belle teste (tra cui Croppi, Nanni, Granata, Briguglio) presentò una mozione in Direzione nazionale con cui contestava lo stanco nostalgismo, la continuità senza visione e senza futuro in nome del quale il leader aveva riconquistato il controllo del partito. Ha avuto così modo di essere protagonista delle iniziative per dar vita a un soggetto politico della destra radicale (dalla Lega nazionalpopolare alla cosiddetta "cosa nera") al fianco di "cattivi soggetti" come Stefano Delle Chiaie e Paolo Signorelli. E ancora oltre, fino agli ultimi approdi scandalosi: il riconoscimento, nel dibattito aperto dal secondo volume di Rao della Trilogia della celtica, che sì, nelle stragi c'era qualche manina nera, l'endorsement grillino alle ultime elezioni politiche. Libero e bello fino alla fine.
Missino atipico, lontano mille miglia dai riti neofascisti, era però attento, molto attento ai fermenti del mondo giovanile e alle sue vicende. Per anni girò le carceri e i tribunali d’Italia per aiutare i prigionieri politici, i perseguitati e cercò di far luce, per quanto possibile, sui tanti “segreti di stato” che costellano la vicenda repubblicana.
Ha molto e bene e intensamente vissuto Tomaso Staiti di Cuddia (nella foto con Cesare Ferri, appena uscito dal carcere dopo il processo per la strage di Brescia e Marco Valle: è l'apertura della campagna elettorale del 1987)che se n'è andato ieri e oggi starà ridendo delle nostre ciuotarie insieme all'amico del cuore, Albert Spaggiari. Non si è fatto mancare niente: donne e beffe, cazzotti e cazzate ma anche un impegno politico serio, rigoroso, mai servo ma sempre libero e non timoroso di superare i limiti. Questo gli ha permesso di farsi cacciare dal Msi il giorno che Fini si era ripreso la segreteria perché insieme a una dozzina di altre belle teste (tra cui Croppi, Nanni, Granata, Briguglio) presentò una mozione in Direzione nazionale con cui contestava lo stanco nostalgismo, la continuità senza visione e senza futuro in nome del quale il leader aveva riconquistato il controllo del partito. Ha avuto così modo di essere protagonista delle iniziative per dar vita a un soggetto politico della destra radicale (dalla Lega nazionalpopolare alla cosiddetta "cosa nera") al fianco di "cattivi soggetti" come Stefano Delle Chiaie e Paolo Signorelli. E ancora oltre, fino agli ultimi approdi scandalosi: il riconoscimento, nel dibattito aperto dal secondo volume di Rao della Trilogia della celtica, che sì, nelle stragi c'era qualche manina nera, l'endorsement grillino alle ultime elezioni politiche. Libero e bello fino alla fine.
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